
In realtà io non l’ho mai avuto un diario.
Ma ci sono, per tutti, dei momenti che rimangono scolpiti nella memoria. Ricordi indelebili che sono e rimarranno impressi, quasi fossero stati messi per iscritto.
Quelli poi che sono legati ad un amore, ad una passione, sembrano fare da spartiacque per alcuni momenti della propria vita. Come in quel bellissimo film di Emir Kusturica, “Papà è in viaggio d’affari”, dove il narratore è un bambino che racconta le vicissitudini della propria famiglia e le date che ne ricordano i momenti salienti, sono quelle relative alle partite della nazionale della Jugoslavia.
Le pagine di quell’ipotetico diario, che voglio rileggere oggi con voi, riguardano quella coppa che ora si chiamerà pure Champions League, ma per me era, è e sarà sempre la Coppa dei Campioni.
Parliamo di un sogno, di una storia di amore-odio. Basti pensare a tutte le volte che siamo andati fuori agli ottavi, ai quarti, alle semifinali… quanti rospi da ingoiare. Che poi quando ci si arriva, in finale, si finisce con il perderla!
Un sogno che, per me, inizia nel 1973. Tutto culmina con un collegamento televisivo da Belgrado, per l’incontro tra una giovane squadra che aprirà un ciclo vincente in Italia, e la squadra che, al tempo, era la regina d’Europa e l’illusione dura solo 4 minuti.
Quindi, per riassumere: una giornata di attesa, 4 minuti di illusione, 86 di inutile speranza e una settimana di pianti.
Aspetto 10 anni, è il 1983, e godo in semifinale vedendo la partita da una curva del Comunale. Ma poi, ad Atene, la paura di perdere si rivelò, per i nostri, più forte della voglia di vincere. E questa volta l’illusione dura solo un po’ di più: 9 minuti. Juventus – Amburgo 0 a 1.
La mattina dopo arrivando in ufficio, trovai sulla mia scrivania la foto della coppa ritagliata dal giornale con su la scritta “prendila…..nel c**o”, e per giorni interi i miei colleghi – tutti romanisti – mi hanno preso in giro.
Ma la vendetta è un piatto che va servito freddo.
Ho aspettato un anno, un anno intero.
La finale successiva, l’ha giocata proprio la Roma (con il Liverpool) e, soprattutto, l’ha persa! Il giorno dopo in ufficio sono stata una signora: niente sfottò, nessuna battuta volgare, solo una frase: “Bene, ora sapete come si sta dopo una sconfitta in finale. Ma sappiate che passerà ancora tanto, tanto, tanto tempo prima che voi possiate giocarne un’altra. Ma noi nel frattempo ne giocheremo ancora e le vinceremo”.
E, giuro, il mio secondo nome non è Cassandra!
29.05.1985, stadio Heysel di Bruxelles ed il mio ricordo va solo a quelle 39 persone che sono morte per vedere una partita di pallone! Il dolore!
Ed arriviamo finalmente al 22.05.1996 : l’apoteosi!
Vinciamo, ai rigori, ma vinciamo. Una partita che in realtà avremmo meritato di fare nostra già ai tempi regolamentari. Con un gol, quello di Ravanelli, da posizione incredibile e mi capita, ancora adesso, di chiudere gli occhi e vedere, come se fosse a rallentatore, la palla che corre quasi parallela alla linea di fondo ed alla fine entra in porta…. Campioni d’Europa!
Quella sera gli amici, venuti a vedere la partita a casa mia, portarono con loro una persona che diventerà la più importante della mia vita nei 4 anni successivi.
Vincere la coppa dei campioni ed incontrare l’amore, tutto nella stessa sera. Cosa vuoi di più dalla vita? 😉
L’anno successivo è ancora finale. Sembrava una partita già vinta prima di giocarla. D’altro canto gli avversari sono i tedeschi del Borussia Dortmund, incontrati già diverse volte in quegli anni e ogni volta strapazzati. Le trasmissioni sportive in tv di quei giorni già cantavano vittoria, ma poi 5 minuti maledetti, in cui i tedeschi segnano due gol, ci spezzano le gambe. Entra Del Piero e segna un gol che definire meraviglioso è poco. Avremmo ancora 25 minuti per riprendere in mano la situazione, ed io ci spero, ed invece subiamo ancora. La delusione!
Terza finale consecutiva, siamo oggettivamente la squadra più forte d’Europa, ma non riusciamo a vincere neppure questa partita. Questa volta non è il blasonatissimo Real Madrid a batterci, bensì un gol in netto fuorigioco di Mijatovic. La rabbia!
E siamo arrivati al 2003, da poco di nuovo innamorata e di nuovo in finale! (Ho anche pensato che ci fosse una connessione! 😀 ). Si gioca a Manchester, per l’epilogo tutto italiano con il Milan. Una partita estremamente tattica con due squadre per niente temerarie. Finisce, quindi, 0 a 0 e poi perdiamo ai rigori. Ma noi quella partita abbiamo iniziato a perderla a pochi minuti dalla fine …..della semifinale, quando un cartellino giallo ha impedito a Nedved di giocare la partita successiva. In una finale non si può rinunciare al giocatore più forte d’Europa. Il rimpianto!
Quel mercoledì fu una giornata caratterizzata solo da una marea di contrattempi: mi si è rotta la sveglia, ho faticato a trovare i calzettoni portafortuna (quelli neri con i cagnolini bianchi!), si è rotto il pc in ufficio, e per ultimo ho visto la partita con un’amica milanista.
Strano, perché l’oroscopo di Branko aveva parlato di una giornata favolosa!!!
Per ora non ci sono più pagine nel mio diario che riguardano questo argomento, ma spero, ovviamente, di aggiungerne presto, molto presto, tante altre.
E chissà, proprio in quelle date, quanto sono ricche di particolari anche le pagine dei vostri ipotetici diari.
Questo articolo è di Roberta. Tutti gli altri, li puoi trovare nella sua rubrica Una signora in bianconero